Proposte di lettura: condividere emozioni emergenti dal sito “Il mio lIbro”


Propongo qui la condivisione delle mie emozioni

provate leggendo chi si autopubblica,

sorprendenti giardini profumati scoperti 

fuori dall’Editoria con la “E” maiuscola

Le mie recensioni
Quaderno d’Echi
titolo: La grande bellezza del sa …
titolo del libro: Briciole curve
Pubblicata il 26/08/2013 – Leggi la recensione
titolo: Emozioni tascabili
titolo del libro: Emozioni tascabili
Pubblicata il 22/04/2013 – Leggi la recensione
titolo: Savana urbana
titolo del libro: Savana Urbana
Pubblicata il 25/11/2012 – Leggi la recensione
titolo: Se ne vanno sempre i migl …
titolo del libro: Se ne vanno sempre i migl …
Pubblicata il 24/11/2012 – Leggi la recensione
titolo: Anche se mi amerai, ti am …
titolo del libro: Anche se mi amerai, io ti …
Pubblicata il 19/11/2012 – Leggi la recensione
titolo: Le fragili attese
titolo del libro: Le fragili attese
Pubblicata il 16/11/2012 – Leggi la recensione
titolo: Poesie per nessuno
titolo del libro: Poesie per Nessuno
Pubblicata il 12/11/2012 – Leggi la recensione
titolo: Deserti emozionali
titolo del libro: Deserti emozionali
Pubblicata il 12/11/2012 – Leggi la recensione
titolo: I segreti delle orchidee
titolo del libro: I segreti delle orchidee
Pubblicata il 18/10/2012 – Leggi la recensione
titolo: L’anno della grande nevic …
titolo del libro: L’anno della grande nevic …
Pubblicata il 21/09/2012 – Leggi la recensione
titolo: Unicamente Amore
titolo del libro: Unicamente Amore
Pubblicata il 17/09/2012 – Leggi la recensione
titolo: Barattolo
titolo del libro: Barattolo
Pubblicata il 06/09/2012 – Leggi la recensione
Recensioni
  • Quaderno d’Echi di Mariano Lo Proto
  • Briciole Curve di Roberto Ritondale
  • Emozioni tascabili di Giordano Licari
  • Savana Urbana di Salvo Nugara
  • Se ne vanno sempre i migliori di Paolo Malacarne
  • Anche se mi amerai, ti amerò lo stesso di Klaus Mondrian
  • Le fragili attese di Daniele Ciavolino
  • Poesie per nessuno – Silvia Del Ciondolo
  • Deserti emozionali di Céline Dupont
  • I segreti delle orchidee – Mara Giglio
  • L’anno della grande nevicata di Gianni Lorenzi
  • Unicamente Amore di Manuela Zoia
  • Barattolo di Anna Russo
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Le mie recensioni
Quaderno d’Echi

Gli echi evocati nel titolo sono le nostre parole, la manifestazione nei gesti dei nostri stati d’animo, delle nostre emozioni,  il medium che ne trasfigura il senso nella loro ricezione nel prossimo. La nostra anima si specchia così nel suo codice trascritto e filtrato nell’anima di chi ci ascolta e ci osserva.

L’Io e l’Altro sono vasi comunicanti in cui fluiscono e si modulano erotismo e comunione, solitudini e assenze (“… ti amo, ti amo lo stesso, anzi più fermo/ perché so esserci amati senza scampo.” da Volevo fossero versi d’amore).

Due realtà che stentano spesso a riconoscersi, a comprendersi(“Non sapremo mai chi dei due aveva/ ragione,se poi esiste una ragione./ Suona chi pure è in un angolo, accorda/ strumento ad altri che accordano E ognuno/ ha uno spartito diverso…” da Non sapremo mai): due entità che ora si annodano, ora tornano a scindersi, per la ricerca di un assoluto che è possibile sfiorare solo in quei momenti speciali che di tanto in tanto possono giungere ad illuminare i rapporti umani. (“Vorrei fosse luce,/ squillo, ancora stupore,/ in questa sospesa eternità./ Tu ed iocosì,/ dentro i non simboli,/ come al sole maturano le mele.” Da Vorrei fosse luce).

Pervade i versi la tematica della fragilità dell’umano desiderio, (“Non forzare le cose per rendere/ coesa l’intesa che noi sappiamo/ precaria, [tu]… Non vedi?, dove/ era l’amore c’è ora implacabile/ l’indifferenza. Resta come appena/ un’eco, un filo d’aria che non lega.”  da Non forzare le cose) e della vita stessa (“Ascolta/ la corda/ di un arco/che scocca:/ vibra/ strozzata/ e si blocca./ E’ la vita, una traccia.” Da Ascolta)e in (“la sicurezza su perde vivendo”da Si certo lo so).

Per concludere l’analisi dei versi che compongono il libro di Mariano Lo Proto, che ho acquistato e letto con indubbio piacere, essi aspirano all’essenzialità che genera essa stessa poesia, alla purezza del suono, senza mai scendere nella banalità (“… Penso che poesia/ sia Arte quando è semplice, alla fine,/ quando gomita e muove/ donando un altro punto per guardare./ E’ là dove tu e un altro/ vi stupite del ritmo, ma ancora più/per ciò che sentite dalle parole./ da Forgio poesie come migliaia).

titolo: La “grande bellezza” del saper donar …
titolo del libro: Briciole curve
Inviata a ilmioesordio il 22/08/2013 –
La recensione
di paola mastroddi
La grande bellezza del saper donare poesia
Accostarsi alla bellezza, quella racchiusa come un segreto colto e rivelato tra scarne righe, ma lucidamente folli, per narrare la vita con la lingua della poesia è sempre un incanto. Le pagine di Roberto Ritondale si scorrono tra sorpresa e dolcezza: il suono delle sue parole è una melodia che vedi scorrere come tracciata su di uno spartito di note. E l’eco di quelle parole ha una sua singolare permanenza, persino negli spazi vuoti che lambiscono le lettere. Va oltre gli occhi, come succede in tutti i casi in cui si respira l’amore ed il rispetto per la capacità suggestiva racchiusa anche in pochi tratti di penna. E si legge tutta di un fiato, questa gentile confessione di peccati: il peccato di illudersi ancora, quello di voler condividere una sensazione sottile, quello di corrispondere empaticamente al dolore altrui e all’altrui desolata esistenza. La ragione si piega, così sento di interpretare l’aggettivo nel titolo che indica la “curvatura”, a quei frammenti immaginifici che la sensibilità sa rivelarci spesso improvvisamente, quasi come dei flash di silenziose visioni. Mi pare di far torto a qualcuna delle splendide “afosie” – termine delizioso che sa includere la compiutezza poetica raggiunta nell’estrema brevità lapidaria della sua espressione – dell’autore citando alcuni titoli che mi hanno lasciato maggiormente il segno nell’anima per la perfezione dell’equilibrio raggiunto, ma sento ugualmente di espormi e di segnalarle: Inquietudine, Altrove, Barboni, Nuvole, Ovatta, Petali, Presenza, Sabbia, Sentinelle, Soffio, Valigia, Viandante tra le tante altre preziose perle della sensibilità che l’autore sa comunicare al lettore, quasi riesca a porgergli i frammenti del suo stesso essere. Bellissima anche la dedica ad Ada Merini che ha avuto il dono di saper dire anche l’indicibile con l’innocente purezza della follia. Davvero un sogno da vivere, questo libro appena acquistato, lo sfogliarne le pagine, una ad una, con commossa attenzione, partecipi e testimoni di quella preziosa rarefazione della parola che sa risuonare nella dimensione parallela della Poesia, sola gemma capace di sfiorare l’eternità a tutti noi negata.
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Emozioni tascabili
titolo: Emozioni tascabili
titolo del libro: Emozioni tascabili
Pubblicata il 22/04/2013 –
La recensione
di paola mastroddi
Emozioni tascabili
Un libro, questo “Emozioni tascabili”, in cui la poesia è la trama sotterranea che affiora, tagliente, dalla superfice liquida ed apparentemente quieta, scarna ed essenziale, dei versi, come in “Nitidamente”,pag. 20. Minimale l’apparenza, in molte liriche, ma profondo il vertice che parla del dolore in cui ogni uomo è intriso e dello scollamento che l’individuo scorge rispetto ad una folla, altra, pur se altrettanto sofferente (“Le mura”, pag. 10) Dal dolore privato una forza centrifuga spinge il cuore del poeta a sfiorare quello degli altri, pur se sembrano mancare le parole per “dirselo”, nella follia quotidiana di una distanza tra gli uomini che sembra un crepaccio invalicabile, tanto che mai giunge a divenire abbraccio e sostegno. I sentimenti appaiono furenti ma gelati dall’impossibilità di credere ad una luce che ci riavvicini, gli uni agli altri; la comprensione sembra ostacolata dalle lingue diverse in cui ciascuno traduce la propria delusione e non appare l’ombra di un riscatto possibile. L’alienazione troneggia su una deserta pianura di voci accavallate.
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La recensione
di paola mastroddi
Savana urbana
Il poeta Salvo Nugara ci parla in questo splendido libro a tre facce (ma caratterizzato dal volto unitario del suo coerente messaggio sul limite “arbitrario” tra l’umano e l’animale), con tocchi preziosi di parole come pennelli d’un quadro espressionista che interpreti un’umanità disadorna. Nella prima sezione essa perde perfino i suoi connotati peculiarmente umani, immersa in una realtà metropolitana e brutta, che assomiglia più ad una palude, ad una giungla, una savana in cui tutto può accadere, una palestra di sopravvivenza, polverosa e squallida, che taglia fuori chi non si assoggetta, chi si tira fuori dalla disumanizzante giostra quotidiana fatta di sguardi superficiali e distaccati, di sovraesposizione ed esibizione del proprio esteriore – mercantile offerta da vetrina – di spostamenti ripetuti e di massa – quasi che una sottospecie di movida d’importazione ci riduca tutti da individui singolari a parte indistinta di una mandria o di un gregge, intenti a non distinguersi per alcunché di personale e di atipico, nella febbrile ricerca di esorcizzare la solitudine reale con l’ostentazione del prodotto e del monile che ci accomuni al prototipo di “soggetto cittadino”. Gli occhi di Nugara scavano pietrisco e sabbia dalle incrostazioni dei silenzi assordanti che incontra, lui che “vive in apnea per le vie di Torino come sott’acqua le poseidonie e le gorgonie”. Con sguardo marziano, eppure consapevole, come esso fosse un bisturi chirurgico, smantella armature di vento entro cui le persone provano a dissimulare ogni verità non mascherata dagli schemi “consigliati e consigliabili”. “Il randagismo degli umani e degli animali non è fenomeno che si possa eliminare” ci dice, la devianza, la voce ed il raglio fuori dal belare del gruppo, inopportunamente, distolgono lo sguardo da quell’ovattare la forza degli istinti, gli odori della vita, senza edulcorazioni. La Tigre bianca (la “Terra di Mezzo” del libro)  è quell’impercettibile crudeltà che, assopita, è in agguato nella mente dell’uomo e Nugara si ostina a volersi calare in questo baratro, come uno speleologo d’anima, come in una discesa all’Inferno, in queste stanze silenziose e scure dove greve alita la Belva, il Male che tutti noi ospitiamo, inconsapevoli. la faccia oscura della Luna, ove insana la mente può scivolare da un momento all’altro verso la piena follia, la penosa sensazione di un pericolo latente, di un’immagine scosta deforme di noi che si aggiri come una fiera tra i labirinti dei sentimenti e dei desideri. Quel saperla in noi ci destabilizza, mentre noi ci perdiamo ostinatamente a cercarla al di fuori di noi stessi, come un virus letale che lavora nell’ombra per il nostro disfacimento e la nostra sconfitta. Tsunami, l’ultima parte di questo “Savana Urbana”, che ci trasmette un senso di dissoluzione e di silente decadenza dell’umanità tutta, si apre sui passi danzanti di una giovane donna che sola sembra aver in corpo il ritmo della vita. Quella vita che è “un graffio meritato/ e spetta a noi farlo diventare/ uno sfregio. Ogni passo dev’essere/ un tentativo d’esserne degni.” E scorge la lava, il magma pronto ad esplodere dentro ogni uomo, non appena l’ira ne deponga la maschera civilizzata. E intanto “il mondo annega, crolla, sfarina” in una landa satura di ciarpame, valigie ingombre e profumo di morte. Un libro, in conclusione, possente, un tempio di parole innalzato al principio che ciascuno di noi debba farsi consapevole del significato della propria e dell’altrui vita.

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La recensione
di paola mastroddi
Se ne vanno sempre i migliori
In questo suo splendido romanzo Paolo Malacarne, l’Io narrante, ci parla in prima persona, ci rende partecipi dei piccoli avvenimenti della sua giornata, per poi parlarci di un evento esistenziale ed insieme universale che accade epifanicamente nell’anfiteatro di Boboli, dopo un primo incontro, fondamentale e sconvolgente – come comprenderà solo più tardi – con un personaggio particolare, Amedeo. La narrazione si svolge su due piani paralleli ospitati dalla splendida bellezza di una città unica quale Firenze: da una parte la descrizione puntuale e diurna della vita di ogni giorno, gli impegni con il bimbo del protagonista, separato da circa un anno, gli incontri che non oltrepassano mai del tutto la superficialità, con altre donne, con gli amici, con i contatti di lavoro, con la “gente” che si affolla all’uscita della scuola in attesa di riabbracciare i propri figli; dall’altra la vita magica, imprevedibile, densa di significato della notte, scandita da solitarie passeggiate notturne lungo le vie, lungo i ponti, a fianco delle acque sopite dell’Arno, fino all’illuminazione e al “passaggio” oltre il verosimile. L’esperienza del “distacco” da sé, una sensazione extrasensoriale d’incorporeità. Il galleggiare inerte ed al di fuori dei canoni del tempo e dello spazio di una immateriale essenza al di sopra del proprio involucro materiale, la sensazione piena e mai provata prima di allora di un’assoluta libertà e della totale consapevolezza di un’assenza di limiti, prima della ridiscesa dal volo. E le parole ammonitrici di Amedeo, la sua “guida”: “Una cosa che accomuna quel che sei con quello che eri, è l’incapacità di apprezzare pienamente ciò che hai se non quando sia perduto” e la sua successiva rivelazione mutano le prospettive attraverso cui la vita del protagonista si era snodata fino ad allora, con l’unico suo punto fermo, “l’unico gancio verso il cielo”, dell’accudire e del porsi come guida nella crescita dell’adorato figlio. E in questa rivelazione il protagonista sembra trovare finalmente le risposte che da sempre sfuggivano ad una chiara linea di demarcazione: la vita (o meglio le vite) come viaggio, come prova di conoscenza, di apprendimento, di condivisione e di comprensione affinché si ritrovi una strada troppo spesso perduta nella nebbia della brutalità e dell’egoismo. Con stile leggero e avvincente Malacarne ci conduce ad intuizioni profonde, a pensieri di condivisione e di sensibilità verso l’intero genere umano e la sua eterna imperfezione. Un libro intimista e delicato da consigliare a chi vuol riflettere, ricco di parole da decifrare come mediazione tra l’irrisolvibile conflitto tra materia e spirito, tra compassione e crudeltà e tra egoismo e condivisione che conducono le umane vicende di ogni tempo.

25/11/2012 –

titolo: Se ne vanno sempre i migl …
titolo del libro: Se ne vanno sempre i migl …
Pubblicata il 24/11/2012 –
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La recensione
di paola mastroddi
Anche se mi amerai, ti amerò lo stesso
Il titolo e la quarta di copertina guidano il lettore verso quello che assaporeranno nel libro di Kaus Mondrian: in esso una storia d’amore è narrata attraverso un epistolario, in forma di monologo, il cui tema conduttore è il dipanarsi della storia dal primo suo accendersi alla sua fine. Acme e vertigine, disamore e distacco. Se le note di una composizione di Chopin, suonata dalla musicista Segrevna, hanno il potere di produrre un’infatuazione abissale nel protagonista maschile della storia, l’insinuarsi del reale nella sua consumazione e frequentazione hanno l’identico ed opposto potere di spegnere quell’incendio appiccato dalla percezione mentale di una presunta e vagheggiata affinità elettiva (“Siete la perfezione per me e non perché esista questa perfezione ma perché io la disegno su voi così bene che essa appare, mi appare, siete la mia perfezione”). Questo diario insentimentale per dirla come il suo autore, narra della potenza evocativa di un’emozione assolutamente cerebrale dell’Io narrante verso una sua proiezione incarnata nell’adorata Segrevna e e quindi che assume temporaneamente le sembianze della musicista. Quando dall’immaginato l’amore discende su di un piano tangibile e fisico ( “Ho creduto di vivere nell’amore e invece nell’amore muoio”) il narratore scopre più differenze che somiglianze e ne trae l’assoluta esigenza di “perdersi” (“Vado via per ricordarvi,…”) affinché possano, per lo meno, restare intatte nel ricordo quelle tracce d’emozione che gli hanno incendiato, improvvise, l’anima: “Non privarmi della tua ssenza, ed io sarò felice!” perché solo in quella perdita il protagonista può provare la “persecuzione dell’assenza che rende tutto drammatico e sublime…”. Nel nevrotico tentativo di evitamento della consunzione, della noia, dell’abitudine e della stanchezza che il Tempo può incidere, come una ferita mortale, su un rapporto sentimentale che si protragga oltre il momento della fiamma divorante dell’innamoramento, il protagonista usa l’arma del distacco, dell’allontamento, della chiusura. Rende originalissimo e caratterizza tutto il libro un inconsueto stile quasi ottocentecesco nell’esprimersi, forbitamente elegante e quasi manierista ed un profondo atteggiamento analitico dell’investigare il sentimento, quasi dissezionandolo anatomicamente con un affilatissimo bisturi mentale, illuminato qui e là da geniali intuzioni espressive come in :”Voi siete la musica, e l vostro corpo non è che una pallida ombra della vostra scrittura…Per la stessa distanza e carattere, io mi abbandono al verbo e vi dico parole che non vorrei…cosicché le nostre distanze si colmano per paradosso estremo. Io sono la voce del vostro corpo, voi il corpo delle mie parole.
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La recensione
di paola mastroddi
Le fragili attese
Mirabili come un’ouverture lettura si rivela questa sorprendente raccolta. Le pagine narrano vita in rivoli di purissimo lirismo, scandiscono emozioni e sentimenti attraverso poesie colte, frutto di una sapienza creativa matura, di sincera ispirazione e di nobilissima fattura. Il libro si snoda attraverso tre “spazi” letterari denominati “Le fragili attese”, “La ronda” e “Il rifiuto”. Ciascuno di essi ha un suo proprio respiro caratterizzato dallo stile e la costruzione del verso e dal tono di fondo che traspare ed unifica le poesie che comprende. La prima sezione si porge con una suadente malinconica dolcezza, quasi un canzoniere che canti d’amore, d’esistenza  e di bellezza,di illusione e disillusione, di afflato emotivo condiviso e di solitudine. Tutto ciò espresso con il grafismo minimale per numero di versi e viepiù di lunghezza della strofa ma con una meravigliosa ricchezza lessicale, un ritmo ed una melodia intensi che regalano pennellate di purissima armonia, senza scader mai in uno sfoggio fine a sé stesso che superi  (fino a rischiare di soffocarla) la potenza evocativa del verso e dei termini scelti per crearla. Cito qui Vagante:”Arcano/è questo/passaggio;/indistinto,/i sogni/cicaleggio/umano./Il petto/sanguina/d’amore./  Piccoli cerchi perfetti  di ritmo e compiutezza tematica,  queste poesie racchiuse tra enunciati malinconici (da Ansia: “Nell’uggia rafferma/una candida/voluttà/di fremere./”che aprono i versi e folgoranti chiuse. ) dove spesso la musicalità scaturisce dall’uso di inversioni che sovvertono l’ordine naturale del periodo enfatizzandone il senso e la risonanza fonetica (da Almeno un cambiamento: “Sulle ragioni mi affliggo del probabile addio…” o “da La Musa diurna: “L’amore intuito non solo ricorderemo, ma l’odore, quel nodo…” Nella seconda area del libro le poesie si fanno  meno  fulminee ed il tono si veste di tristezza, facendosi  più introverse (da Giardino:”Dormono, se dormono, sognando scure tempeste,/i tuoi occhi gelidamente posati sulle riviste/di cronaca, serrati quanto i cristalli” e ancora più evocative e simboliche, come ad esempio in “Cantilena dell’omicida”. Infine nella terza parte del libro dalle liriche (come ad esempio  in “Diviso”) scaturisce il senso di un abbandono, l’incrinarsi di un’armonia languidamente e rabbiosamente ricordata, e in quel dipanarsi lungo e complesso dei versi pare di cogliere una condizione di analisi, riflessione ed interrogazione sul senso di un labirinto nel quale il poeta sembra aggirarsi, senza trovare una via di uscita che riporti la luce ai suoi occhi e al suo cuore. Nel complesso un’opera particolare, ricca di perle d’una bellezza in divenire,  quasi una finestra sul mondo interiore dell’autore che accenna ai suoi pensieri e ad eventi che hanno segnato i suoi passi affidati ad una sorta di diario di parole.
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titolo: Poesie per nessuno
titolo del libro: Poesie per Nessuno
Pubblicata il 12/11/2012 –
La recensione
di paola mastroddi
Poesie per nessuno
Il titolo “Poesie per nessuno” andrebbe emblematicamente rovesciato per comprendere veramente il segno della poesia di Silvia, poiché le sue liriche, nel loro stile scarnificato e tagliente, nella loro poeticità tagliente e disarmata, parlano (e a volte gridano) quei temi comuni alla profondità del sentire di ogni persona. Tra i suoi temi portanti vorrei sottolineare quello delle figure femminili, madre, nonna, per le quali confessa un legame carnale, di identificazione, di empatia per la forza sotterranea, la capacità di sorridere anche degli sbagli, la libertà ricercata a costo di sacrifici e solitudine, che le comunicano e le assimilano a lei quasi come un unico corpo ed un’unica anima; la disarmata consapevolezza della disillusione verso l’amore ed il rapporto di coppia, elisir dolce e beffardo versatole nel bicchiere dall’uomo in cui vuole sognare e vuole credere, quasi vi fosse inevitabilmente nascosto nel fondo il veleno, eppure unica temporanea salvezza dall’inquietudine e da quella sensazione di pre-morte nonostante una vita apparente   come in Berlino vecchio millennio, (pag.112) “A volte/tu/mi entri dentro/mi cogli/in un attimo/tutta insieme/ come se/il mio essere/fosse per/ te/una linea retta/un punto bianco/su un foglio nero./”; la nostalgia nel ricordare il tempo spensierato della fanciullezza (Ortica, pag. 96) “..”quando la vita era/rotolare con le guance rosa/in oceani profumati/d’erba verde./quando la notte era/guardare le stelle./” quando”… Cadevamo sempre./Non ci facevamo mai male.” Lo stile asciutto, scevro da fronzoli, minimale ed incisivo con cui Silvia Del Ciondolo ci comunica parole d’anima e di sofferenza, di ribellione al velo di falsità che circonda tutti noi, sul lavoro o tra le amicizie, è diretto come l’aprirsi saltuario delle pagine di un diario segreto, come davvero il foglio di carta fosse la voce e il complice attraverso i quali farsi consapevole dei propri disagi e delle proprie forze nascoste,accettarsi, l’auto terapia necessaria, come la scrittrice stessa ci svela nella sua Intro-Descrizione, “assecondare una necessità incostante e capricciosa, ma essenziale per capire e prendere atto. Scrivere poesie è … un gesto secco, liberatorio, che salva dal soffocamento” di troppe parole che si affollano nell’anima. In particolare vorrei segnalare ai lettori del sito, per la completezza e la potenza espressiva, le due poesie “Notte croata” (pag. 40) e “La vicina di casa” (pag. 49): la prima riesce a sembrare un quadro, un acquerello soffuso di tenue emozione, la seconda la clip di un movie stile anni ’50 americano: intravvediamo quelle donne perfette, vestite da colori improbabili con i capelli cotonati afflitte dal complesso della “casalinghitudine” perfetta cui sono costrette da una società che le Vede realmente non come persone ma solo per i loro ruolo e la cui unica possibilità di sovvertire questo macigno di aspettative è nella rinuncia estrema, a sé stesse fino in fondo. Nel complesso è un libro che ho apprezzato totalmente, che ho acquistato con gioia e che resterà tra i miei preferiti.
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La recensione
di paola mastroddi
Deserti emozionali
Trasparenze glaciali ed eleganti assonanze inducono il lettore alle visioni incidentate e travolgenti dell’autrice. Magneticamente l’attrazione per quel  “suono scarno di tristi pensieri”  tra lo spettro che si aggira tra le righe, così come “un incubo pervade i sogni incantati come a volerli infestare” si manifesta senza dar tregua, pagina dopo pagina, senza trovare neanche una pace temporanea se non forse nel trascorrere eterno che allontana il dolore perché quegli ” avanzi di tempo son gocce rubate di stilla salvifica”. Le rime sono solo all’apparenza scomposte e dissennate: nascondono invece la formula dell’armonia che nasce dall’uso delle rime e delle assonanze e l’evocatività prodotta dall’uso delle anafore (come in Opzione trascendentale o in Strass), lasciano traluce la poetica visionarietà di versi come “Interludio”, “I(n)vano”,”Contagio”, “Non”. Pause quasi idiliache dal trambusto del cuore appaiono, di tanto in tanto, come isole in un mare tempestoso come poesie come “Passi” e questi versi luminosi: … “E la stanza è un brillare di luce soffusa che scompare nel vento che la ritrae a piccoli passi”, Come in una fotografia in b/n , la cui liricità viene esaltata dalla profondità dei contrasti, in queste pagine l’afflato poetico scaturisce dal contrappunto tra disperata malinconia e moti rabbiosi, segnati dall’uso dei punti esclamativi. In conclusione un libro di poesie profondamente personali, vere, di un’anima nuda che si offre senza schermi e veli. Complimenti sinceri.
titolo: Deserti emozionali
titolo del libro: Deserti emozionali
Pubblicata il 12/11/2012 –
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La recensione
di paola mastroddi
I segreti delle orchidee
La soave leggerezza della scrittura si esprime come una musica a volume ovattato e suadente nelle poesie di Mara Giglio. Il richiamo del mito, la natura, le piccole intense “cose” quotidiane, le domande senza risposta,  tutto concorre all’armonia fusione di mille facce d’uno stesso motore  l’Amore che conduce una danza di lievità e a dare un segno distintivo ad una vita altrimenti altrimenti, tutto sommato, inspiegabile. Ed infatti proprio le note e ed i toni, l’armonia e la disarmonia governano il filo conduttore dei testi delle poesie, sia in quelle brevissime (“E la luce…”, “Non sei…”) e fulminanti sia in quelle più estese ed esaustive. Godibilissimo intermezzo e contrappunto alle parole di Mara Giglio appaiono le belle immagini evocate dai testi stessi, realizzate da Michele Ciardulli, in splendida sintonia poetica con le composizioni. Ma mi preme sottolineare come già appaia evidente nelle stesse lirichedi mara giglio una evidente e profonda capacità di esprimersi quasi acquerellando con le parole quadri di parole lasciati immaginare al lettore stesso. Tra le più equilibrate e delicate mi sento di citare, in base al gusto personale e in quanto pienamente connesse ai temi  dominanti sui quali l’Autrice ha incentrato questa raccolta, “Vorrei” e “Luna”.
  • I segreti delle orchidee – Mara Giglio

 http://isegretidelleorchidee.blogspot.it/

titolo: I segreti delle orchidee

ti

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  • L’anno della grande nevicata di Gianni Lorenzi 
Per una volta vorrei partire dalla fine, ossia dal mio invito a tutti voi a leggere il libro per la forza persuasiva con la quale mi ha indotto a non smettere di leggerlo tutto d’un fiato e manterrò il segreto sui nodi della storia che verranno sciolti solo al termine di questo percorso narrato con indubitabile garbo e prodigiosa sapienza espressiva. C’è un gioco musicale sottile, in queste pagine eleganti, tracciato sulla sottile linea d’equilibrio tra la malinconia accorata del sax o della tromba di un blues e le note danzanti d’un tango triste o di una sensuale milonga di Piazzolla e la pungente ironia, un poco disincantata,dal dolce-amaro retrogusto del jazz,come filo conduttore sotterraneo di questa opera di Gianni Lorenzi. Tutto il percorso si snoda come in un cerchio predestinato ma ignoto al protagonista, tra l’immagine di partenza e quella finale, immerse nei fiocchi di neve che, vorticando silenziosi, danno lo spunto al titolo del libro. Dall’inquadratura iniziale il film della narrazione risale a ritroso l’intera vicenda, talvolta devia per carrellate d’ambiente e digressioni in prima persona dell’Io narrante che, con tenerezza ed insieme comprensione umana, si affianca alle giornate piene di imprevisti e di pensieri del protagonista. I dubbi di Stefano, sul suo ambiente lavorativo, le sue elucubrazioni solitarie sulle donne che lì incontra e con cui , in realtà, scambia ben poche parole, e tanto meno si apre, la frammentarietà della sua visione stessa di una possibile compagna che assembla con parti o tratti dell’una e dell’altra donna che occupano i suoi pensieri, ci riconducono, per assonanza, ai frammenti della fotografia sul bancone sui quali le prime pagine zoomano rapidamente e delineano, le sue personali interpretazioni della realtà che presto scopriremo ben lontane dal vero. Proprio questa incapacità di leggere i particolari non detti, i messaggi del corpo degli altri, la desolata solitudine in cui vive le giornate ritmate dai suoi contatti accennati a chi gli lavora accanto, come la collega Patrizia o Tania, sono i prodromi di quello che si rivelerà una sorta di accidia accennata, un desiderio inappagato di immergersi nella vita vera, a costo magari di sconfitte e di dolore, ma anche di gioia e di passione. Ci rivelerà quel suo fermarsi sulla soglia della decisione, per l’analisi di troppe varianti teoriche, del passo da compiere: quel suo attendere, attendere troppo. Perché la vita non aspetta, le occasioni ci sfiorano e passano accanto e occorre essere pronti a mettersi in gioco anche a rischio di perdere: perché la vita è un gioco il cui unico sicuro perdente è colui che troppo temporeggia senza tuffarsi nel suo corso impetuoso, pur soppesando il rischio di annegarvi. Il caso o gli altrui disegni ci danno chances che occorre saper interpretare, segni che aprono strade nuove ed inaspettate. Stefano riflette, teme, controlla, indaga, crede di riuscire a tutto comprendere e dirigere con la sua mente, ma tutto puà avere altre sfaccettature che egli potrebbe non aver colto: nella sua accentuata cerebralità crede di poter gestire gli eventi, pianificarli, organizzarli. Ma è la Vita che gioca a dadi con i nostri sogni e i nostri progetti e a noi non resta che muoverci sulla scacchiera dei nostri passi tra i movimenti possibili cui siamo pronti per indole. O forse meglio sarebbe essere capaci di danzarla la Vita, sotto una pioggia di fiocchi di neve, leggeri come loro, al ritmo d’una milonga triste o di un jazz d’annata.
C’è una freschezza d’anima che trapela da queste pagine che ci schiudono la porta su un ininterrotto dialogo d’amore. Non si tratta di versi ma di dediche che l’amore suggerisce al cuore di chi sa lasciarsi andare a questo eterno sentimento che non si smarrisce davanti alle difficoltà, alla distanza alla parola “impossibile”. Pur nelle angustie cui può trovarsi sottoposto riesce a tracimare quei margini angusti e dolorosi. Come due corsi d’acqua che corrono per incontrarsi di nuovo e generare un lago d’emozioni così i cuori di chi si ama, debordano e sopravanzano ogni ostacolo, ogni sofferenza necessaria. La prosa di Manuela è limpida e intrisa di tenerezza: ci parla di una donna che non pretende, che fa dell’attesa un dono quotidiano verso chi ama, che riesce a trovare la bellezza persino nelle briciole di quel tutto che pure, umanamente e comprensibilmente, desiderebbe. La sua poesia nasce quindi dalla dolcezza, dalla capacità di amare in modo creativo, di trarre dall’attesa, dall’immaginazione, dal prefigurare l’incontro che verrà un’epifanica cerimonia di appartenenza. La stessa frammentarietà dei messaggi-dedica in realtà diviene una sinuosa linea continua di appassionata consaguineità di pensieri. Ad essi vengono associate immagini suggestive che pure, le forza persuasiva delle parole stesse hanno già delineate nel lettore. Personalmente avrei preferito un unicuum dato da una storia più tradizionalmente descritta in un romanzo ma i nostri amori d’oggi sono forse rispecchiati più fedelmente proprio da questa collana di istanti, che a fatica, molti di noi ritagliano a vite che ben poco lasciano a diposizione dei sentimenti rispetto alle necessità. Il tema poi dell’amore sofferto e “impedito” dalla distanza e dalle reciproche  condizioni familiari ha il carattere assoluto dell’eternità, tanto è stato trattato e cantato sin dalla notte dei tempi.  Poiché è solo il desiderio e la corrispondenza d’anima la molla che può unirci oltre ogni impedimento ed oltre persino la corrosione d’un sentimento che il Tempo, inesorabile, può indurre. In conclusione trovo il libro di Manuela Zoia come una tela giovanile e intensa, scritta e presentata con cura e teneramente ispirata che merita d’essere letta per trarne gocce di dolcezza.
  • Barattolo di Anna Russo
Barattolo, il bimbo speciale nato in una notte di temporale “ in cui non se ne accorse nessuno” – Sophie – e il Comandante sono i personaggi che spiccano nell’insieme di varia umanità che popola dapprima il mondo–di-fuori e poi il mondo-di-dentro (quello del carcere) dove tuttavia può capitare di sentirsi “meno soli” e “meno fuori posto” di quanto non ci si possa sentire nella vita comune al punto di decidere per una soluzione limite e assurda, quella di scegliere di restare nel carcere. Tutta la narrazione vive sul sottile diaframma tra l’ironia e la visione surreale, la fiaba senza confini e l’occhio irridente per il reale, così spesso più assurdo  di quanto non possa essere la più sfrenata immaginazione. L’autrice Anna Russo ci guida entro i sentimenti e le parole non dette, senza mai perdere di vista la leggerezza dell’esistenza che è capace di propagare il sorriso e la comprensione per le altrui sventure. Ogni personaggi  della storia vive il profondo dissidio interiore tra l’immagine che il mondo richiede e il vero modo di essere e di sentire: i veri protagonisti alla fine saranno proprio quelli che saranno capaci di avere la sfrontatezza della libertà dalle maschere in cui gli altri vogliono rinchiuderli e di perseguire il proprio sogno personale fino a  giungere a realizzarlo e a condurre la vita che davvero  sentivano propri. Un libro speciale che sotto l’apparente leggerezza della descrizione ci parla di sentimenti veri, di dolcissima capacità creativa ed immaginativa, di quei valori umani che soli fanno della solidarietà e della comprensione tra esseri  la preziosa  ed insostituibile pietra di volta che distingue la vita che vale la pena d’essere vissuta fosse  pure nell’esperienza estrema del confinamento in un carcere.

2 risposte a "Proposte di lettura: condividere emozioni emergenti dal sito “Il mio lIbro”"

  1. Mara Giglio 13 novembre 2012 / 15:14

    Gentile Paola, ti ringrazio per aver letto e recensito il mio libro “I segreti delle orchidee” e per aver dedicato questo spazio all’interno del tuo suggestivo blog. Potrei avere l’onore di dedicare un post alle tue pubblicazioni nel mio blog http://isegretidelleorchidee.blogspot.it/ ?
    Cari saluti,
    Mara Giglio

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