Thinking pink.
Gocce di rugiada
sulle mie labbra,
assetate,
i tuoi sguardi.
Istantanee di gioia nelle piccole cose.
Architettura di interni.
È dall’interno di noi stessi
che apprendemmo l’alfabeto
necessario ad interpretare
la finitezza degli orizzonti
del mondo
posto al di fuori di noi.
Cecità.
Cerco il senso
del suono di un verso,
in questi tempi bui,
nelle ore scandite
dai quotidiani orrori.
Le parole hanno ancora
un potere pacificatorio
tra i pensieri violati
e le immagini
delle vite straziate?
In questo profondo buio,
tra le livide luci dei lampeggianti
e le urla di ordalie
assetate di sangue,
la volontà di morte
a farne un unico mostruoso
acefalo organismo,
riesci ancora a intravvedere
la lucentezza della vita,
la miracolosa unicità
di uno sguardo spento,
come una candela,
dal vento dell’odio?
Sono tempi bui,
le parole strozzate in gola,
come un urlo di vita
contro la religione della morte,
della sopraffazione.
Dove sono
le orme dei giusti
ad indicarci
una via d’uscita
al massacro dell’umanità?
In ogni tempo,
alcuni di essi
han saputo attraversare
il buio degli orrori
e degli stermini
e riaccendere la fiaccola
del diritto,
del rispetto dell’uomo.
Li cerco, quei giusti,
quelle guide di luce,
ma mi sento cieca
tra menti accecate e sorde
alla voce dei deboli.
Confluenze.Confluenze.
Resto così,
liquidamente disciolta
in un lento fiume
di pensieri.
Accanto a quei luoghi magici,
dove acqua
con altre acque si disperde,
ritrovo l’iniquo senso
di questo folle dissiparsi,
in rivoli fragili,
in pozze grevi.
Di quanti minuti abbisogno,
ad occhi chiusi,
per ricordare il mare?
Mi confluisce il cuore,
il suo battere teso,
nello scadenzarsi
dell’attimo
di un eterno ieri.
Pensieri di nebbia.
Come molli ondate
sfocarsi alla battigia,
pensieri innocui e pallidi
tornano a bagnarmi l’anima.
Si disfano, come grigie figure,
nell’umore della nebbia,
di silenzio inondando
lo sguardo mio distante.
Non trovo più domande da pormi
– per quanto mi frughi nelle tasche –
e credo d’aver perso
già da un po’
i sogni,
in fondo ad un cassetto.
Di rovistarvi invano,
ora non ho gran voglia.
Verso lentamente
il mio tè
nella tazza
disegnando di vaniglia
il mio respiro.
Speleologia interiore.
Non ho dimenticato nulla
di quei lunghi giorni piovosi.
Non una parola,
né uno sguardo.
La pioggia
porta via con sé
le tracce polverose
delle giornate di sole,
ma scava dentro l’anima
carsiche vie che segnano inesorabilmente i pensieri
e che, di tanto in tanto,
tornano ad allagarsi di nuovo.
In queste nascoste vie d’acqua
perdura la memoria,
nell’eco di quelle lontane voci,
delle ore andate
e delle basse frequenze
del rimosso dolore.
Complici.
Hai parole,
calde,
di vento
in cui asciugo
i mossi miei pensieri.
Bilanci “sospesi”.
In un mondo pieno
di mistificatori di tenerezza,
aggirarsi sola,
da sempre eremita
dei miei sogni interrotti.
Riposte in un fagotto
raffazzonato in fretta,
manciate di sorrisi
da dipingersi all’uopo,
mi dondolo, annoiata,
come una trapezista funambola,
percorrendo le strette corde
della vacuità
di parole inventate
e di verità taciute,
per non rischiare
di precipitare in fondo
al nero del mio cuore,
senza il vitale e ultimo sostegno
d’una fitta e solida
rete di bugie.
I bilanci, d’altronde,
sono sempre truccati.
gialloesse
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